Di quanto resta di Parigi, nella mente l’odore delle piante sul balcone, nel cuore il profumo della Parisse, nelle ossa la vertigine dei tramonti, dentro i muscoli la tensione dal camminare, dentro gli occhi la pienezza di immagini quotidiane. Di quanto resta di Parigi, di tutto questo, di altro ancora; delle lunghe passeggiate nei pressi della Senna, col sole di giugno a scaldare il viso; dei colori vivaci dei fiori al Jardin des plantes, coi corvi neri e lucenti a saltellare silenziosi. Sopratutto, restano le imperfezioni, sparse per la città come i biglietti della metropolitana usati e gettati ovunque; le imperfezioni delle facciate dei palazzi da intonacare e dipingere, del legno intaccato dal tempo e dalla pioggia, scolorito, attorno alle finestre e delle stesse; le imperfezioni dei vicini di casa, con gli scaffali piedi di libri e i modi spiccioli con cui lanciano un mozzicone dalla finestra, con in mano gli spartiti di un’opera; le imperfezioni di una giornata soleggiata ma con l’aria fredda e il cielo per metà nuvoloso. Le imperfezioni sono lo stato d’essenza di questa città, perché proprio in queste c’è il sapore della vita.
(Tutta la prontezza di spirito possibile e un poco di serenità!)