Comincia così, l’uscita dal locale,
le grosse gocce addosso, sul piumino
sul marciapiede, sulle scarpe.
Guardo davanti con la testa inclinata,
appena per vedere dentro le luci,
specchi d’acqua come frammenti
di cristallo, immagini non nitide,
sparse lungo il tragitto verso l’auto.
Riflessi di luce, come stelle, formano
galassie nello spazio di un sogno,
nuove costellazioni alle quali dare un nome.
Inconsistenti quanto una predizione,
il futuro è il passo prossimo
con cui copro il riflesso di una vetrina.
Sull’asfalto si crea una più ampia vetrata,
con dentro il segnale di divieto di sosta
immerso in una porzione di infinito,
al lato della strada, al lato di un pensiero.
La città scivola, i palazzi di tante vite vissute
reclamano il silenzio sulle spoglie
di quei muri attraversati da sogni e da crepe,
sulle facciate scalcinate dai colori sbiaditi,
dalle imposte, dalle finestre, dai portoni,
scheggiati, usurati, mancanti di parti.
La pioggia dona un denso scurire alle cose,
i riflessi sono le immagini più prossime,
qualcosa lasciato fuori senza un motivo apparente,
il muto sentire di quanto avviene dentro.
È più il pensiero a dar senso al ritorno a casa,
ovunque sia, l’azione è il compimento di un riflesso.
(Stanotte non c’era verso, stamattina c’è il vento!)
Foto di Luca Daniele